La "verosimile esistenza" di scriminanti comporta il divieto di fermo o arresto
La recente pronuncia della Cassazione (Cass. Sez. III penale, sentenza 20 febbraio 2020 n. 6626) ha chiarito un dubbio interpretativo concernente l’applicazione pratica dell’art. 385 c.p.p., il quale prevede, tenuto conto delle circostanze di fatto, il divieto di fermo o arresto quando appaia che siano stati compiuti nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima o in presenza di una causa di non punibilità.
Ebbene, la Suprema Corte interpreta il verbo apparire ivi menzionato, non come “appare evidente”, ma nel senso di “verosimilmente esistente”, ampliando, quindi, di gran lunga il raggio di copertura di tale disposizione.
Per giungere a questa lettura, il Supremo Consesso ha operato un paragone con quanto previsto dall’art. 273 c.p.p., per il quale viene imposto al giudice per le indagini preliminari, dominus nell’emissione delle ordinanze cautelari, di valutare se risulti che il fatto sia stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione.
Quest’ultimo accertamento non richiede, però, che la ricorrenza dell'esimente sia stata positivamente comprovata in termini di certezza, bensì si ritiene sufficiente la sussistenza di un elevato grado di probabilità che il fatto sia stato compiuto in presenza di tale causa di giustificazione.
Naturale corollario, secondo quanto espresso dalla Corte di legittimità nella sentenza 20 febbraio 2020 n. 6626, è quindi che, se il giudice, nell'adottare una misura privativa della libertà personale, deve valutare la questione dell’eventuale ricorrenza della causa di giustificazione nei termini di probabilità indicati, allora non potrebbe certo ritenersi che la polizia giudiziaria, nell'effettuare un arresto in flagranza, potesse disporre di più ampi poteri rispetto a quelli riconosciuti all'autorità giudiziaria, competente in via generale ad operare restrizioni alla libertà personale.