A partire dal 2020 sarà, dunque, operativa la tanto discussa riforma della prescrizione penale. Il nodo principale – che ha comportato il più acceso dibattito sul punto – ricade sull’interruzione dei termini di prescrizione subito dopo l’intervento della sentenza di primo grado, sia essa di condanna o di assoluzione.
Le correnti sul punto sono opposte: chi è a favore della riforma (ormai legge), la intende come l’unico metodo per impedire la prescrizione dei reati dovuta ai tempi eccessivi del sistema giudiziario italiano; i rimanenti, invece, investono la prescrizione del ruolo di “garanzia”, incarnando l’unico modo in cui l’ordinamento può difendere gli imputati dalla lunghezza dei processi e delle indagini.
La prescrizione esiste tanto nel ramo penale del diritto, quanto in quello civile (rispettivamente definita dall’art. 157 e ss. del codice penale e 2934 e ss. del codice civile) e riguarda l’indissolubile connessione tra l’oggetto del diritto e il trascorrere del tempo, rispondendo al principio di economia dei sistemi giudiziari: nel civile coincide con l’estinzione di un diritto qualora il titolare non lo eserciti entro un termine prefissato dalla legge; nel penale, è ancora l’estinzione, questa volta di un reato, allo spirare di un determinato periodo. Nel primo caso, la ratio è di garantire certezza nei rapporti giuridici; nel secondo, assicurare all’imputato un giusto processo in tempi ragionevoli.
Nonostante, quindi, la prescrizione penale sia uno strumento a garanzia del giusto processo, le eccessive lungaggini della giustizia italiana fanno sì che molto spesso diventi una via di fuga per imputati che vengono così assolti, seppure non con formula piena.
Con l’emendamento grillino, l’istituto della prescrizione viene sensibilmente modificato: l’interruzione dei termini della prescrizione dopo la sentenza di prima grado, secondo il M5S, dovrebbe garantire la certezza della pena e la velocizzazione della macchina giudiziaria. Di segno opposto, invece, chi la ritiene dannosa e incostituzionale, ritenendo che non sia la soluzione alla lunghezza (spesso eccessiva) delle indagini, e temendo che, eliminando la scure della prescrizione imminente, si rischi, nei fatti, di rendere eterni i gradi di giudizio successivi al primo.
Ai posteri l’ardua sentenza.